Working e Position Paper

    26.09.2018
    Licenziamento per rifiuto del lavoratore alla riduzione dell’orario di lavoro

    L’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 stabilisce che il rifiuto del lavoratore di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale – o viceversa – non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

    Il tribunale di Roma, primo grado, (Tribunale di Roma, 1a Sez. Lav., 27 giugno 2018, n. 5502; Giud. Pangia ) richiama l’orientamento espresso dal giudice di legittimità (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21875) in base al quale la norma (allora si trattava dell’art. 5 D.Lgs. n. 61/2000, di identico tenore) va interpretata alla luce della normativa comunitaria e della giurisprudenza costituzionale, sicché restano comunque salve le effettive esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, la prova della cui sussistenza incombe su quest’ultimo.

    La Corte Suprema ha posto in rilievo come la clausola 5.2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Clausola 5: Possibilità di lavoro a tempo parziale – 2. Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato – recepita nella direttiva 97/81, fa salva «la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato». La Consulta ha chiarito (Corte Cost. 19 luglio 2013, n. 224) che l’accordo quadro, così esprimendosi, accanto alla protezione del lavoratore dalla trasformazione unilaterale del rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, prende pure in considerazione le esigenze organizzative di quest’ultimo, purché l’iniziativa datoriale sia sorretta da serie ragioni organizzative e gestionali ed attuata nel rispetto dei principi di correttezza e di buona fede.

    Come dire che, affinché il rifiuto del dipendente di consentire la riduzione dell’orario di lavoro possa costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento occorre che il datore di lavoro dia prova delle effettive esigenze aziendali che non consentono la prosecuzione del rapporto lavorativo con l’osservanza dell’orario originariamente assegnato al lavoratore. Pertanto, l’onere della prova della sussistenza delle ragioni giustificatrici ricade ovviamente sul datore di lavoro. Ciò deve portare il datore di lavoro a leggere ed applicare le norme oltre che sulla base dello spirito del proprio legislatore anche e soprattutto rispetto alla sovrastante normativa comunitaria, in grado, talvolta, di illuminare la strada di una organica interpretazione della legislazione dello stato membro. La norma deve essere sempre letta non in una chiave restrittiva, chiusa nell’alveo della cultura endogena bensì in una dimensione di combinato disposto tra una dimensione esogena e l’universo endogeno del tessuto normativo.

    Nota del Centro Studi di Alleanza Lavoro Network che rimane a disposizione per eventuali approfondimenti anche in chiave operativa.

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